"Insinuare qualche scrupolo come un sassolino nella scarpa".

"Vedete, noi siamo qui , Probabilmente allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva. Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà.Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”.

giovedì 9 ottobre 2008

Poesia...e immaginazione.

NARRARE PER VIVERE.



“Capita sempre più di rado di incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve: e l’imbarazzo si diffonde sempre più spesso quando, in una compagnia, c’è chi esprime il desiderio di sentir raccontare una storia. È come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze”. La verità delle parole che Walter Benjamin scrisse molti anni or sono è oggi ancor più drammatica: i mezzi tecnologici di comunicazione (TV, DVD, Internet…), con la loro magica forza di attrazione e seduzione, con il senso di potenza che dispiegano, si sono frapposti fra noi e gli altri, fra anziani e giovani, tra padri e figli, e ci hanno espropriato della magia semplice e pura della narrazione, quella magia espressa in modo commovente da Rubem Alves: “Io sono un narratore di storie. Ho scoperto di esserlo narrando storie per la mia bimbetta. Le storie si formano allo stesso modo in cui si forma una perla dentro all’ostrica. Ostriche felici non fanno perle. Occorre che un granello di sabbia entri nell’ostrica e raggiunga la sua carne molle. Il granello di sabbia rende l’ostrica infelice. Per liberarsi dal dolore provocato dal granello di sabbia, l’ostrica avvolge pazientemente l’aspro granello di una sostanza liscia, senza punte e rotonda: la perla. Le storie nascono allo stesso modo. Mia figlia è nata con il viso difettoso. E io le raccontavo storie per cambiare tale dolore in bellezza. Ma per far questo era necessario che io possedessi il potere dei maghi. Sì, le storie sono riti magici…”. Parola magica quant’altre mai è abracadabra. Essa è una corruzione dell’espressione ebraica abarà wedebarà che significa: “mentre parlo creo”. Narrare è opera di creazione. Dio ha creato il mondo con la parola. Potremmo dire: in principio era il racconto. Biblicamente, Dio è un narratore, prima che “l’essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra”. In effetti, la forma biblica della fede è la narrazione, non l’espressione dogmatica, astratta e filosofica, per quanto nobile. Gesù è il non-teologo: egli narra Dio con parabole, cioè narrando storie di pescatori e massaie, di contadini e di re partiti per un lungo viaggio. La narrazione non impone, ma offre; impegna il narratore che diviene un testimone vivente di ciò che narra; rende partecipi gli ascoltatori e li prende per mano per far vivere anche a loro la sua storia; crea ordine nel disordine della nostre vite; ci aiuta a umanizzarci e ad assumere la nostra vita. Le storie insegnano che le nostre vite possono avere una trama e un senso.

Luciano Manicardi, monaco di Bose.

Tratto da Kefas n°20 luglio - agosto